Sulla povertà, il cattolicismo e la gerarchia ecclesiastica

Quaderno 20 (XXV)
§ (3)

In un libretto su Ouvriers et Patrons (memoria premiata nel 1906 dall’Accademia di Scienze morali e politiche di Parigi) è riferita la risposta data da un operaio cattolico francese all’autore dell’obbiezione mossagli che, secondo le parole di Gesù riportate da un Evangelo, ci dovono essere sempre ricchi e poveri: «ebbene, lasceremo almeno due poveri perché Gesù non abbia ad aver torto». La risposta è epigrammatica, ma degna dell’obbiezione. Da quando la quistione ha assunto un’importanza storica per la Chiesa, cioè da quando la Chiesa ha dovuto porsi il problema di arginare la così detta «apostasia» delle masse, creando un sindacalismo cattolico (operaio, perché agli imprenditori non è mai stato imposto di dare un carattere confessionale alle loro organizzazioni sindacali), le opinioni più diffuse sulla quistione della «povertà» che risultano dalle encicliche e dagli altri documenti autorizzati, possono riassumersi in questi punti:

  1. La proprietà privata, specialmente quella fondiaria, è un «diritto naturale» che non si può violare neanche con forti imposte (da questo principio sono derivati i programmi politici delle tendenze democratico-cristiane per la distribuzione delle terre con indennità, ai contadini poveri, e le loro dottrine finanziarie);
  2. I poveri devono contentarsi della loro sorte, poiché le distinzioni di classe e la distribuzione della ricchezza sono disposizioni di dio e sarebbe empio cercare di eliminarle;
  3. L’elemosina è un dovere cristiano e implica l’esistenza della povertà;
  4. La quistione sociale è soprattutto morale e religiosa, non economica e dev’essere risolta con la carità cristiana e con i dettami della moralità e il giudizio della religione.

(È da cfr il Codice Sociale di Malines, nelle successive elaborazioni).

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Una risposta a Sulla povertà, il cattolicismo e la gerarchia ecclesiastica

  1. giuseppe veronica ha detto:

    La variazione più significante rispetto alla nota del Q1: “da quando la Chiesa ha dovuto porsi il problema di arginare la così detta «apostasia» delle masse, creando un sindacalismo cattolico..” si presta a un ulteriore raffronto con il presente. La Chiesa non deve fronteggiare oggi nessun radicalismo sindacale, né cattolico né d’altra sorta e dunque i discorsi apparentemente avanzati sul piano sociale si iscrivono in un più generale movimento di secolarizzazione (apertura ai gay, ai divorziati, alle coppie di fatto, ecc.). La questione è non perdere la clientela, anche a costo di incarcerare Ratzinger.

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