Quaderno 6 (VIII) § (136)
Ho notato altra volta che in una determinata società nessuno è disorganizzato e senza partito, purché si intendano organizzazione e partito in senso largo e non formale. In questa molteplicità di società particolari, di carattere duplice, naturale e contrattuale o volontario, una o più prevalgono relativamente o assolutamente, costituendo l’apparato egemonico di un gruppo sociale sul resto della popolazione (o società civile), base dello Stato inteso strettamente come apparato governativo-coercitivo.
Avviene sempre che le singole persone appartengano a più di una società particolare e spesso a società che essenzialmente sono in contrasto fra loro. Una politica totalitaria tende appunto:
- a ottenere che i membri di un determinato partito trovino in questo solo partito tutte le soddisfazioni che prima trovavano in una molteplicità di organizzazioni, cioè a rompere tutti i fili che legano questi membri ad organismi culturali estranei;
- a distruggere tutte le altre organizzazioni o a incorporarle in un sistema di cui il partito sia il solo regolatore.
Ciò avviene:
- quando il partito dato è portatore di una nuova cultura e si ha una fase progressiva;
- quando il partito dato vuole impedire che un’altra forza, portatrice di una nuova cultura, diventi essa «totalitaria»; e si ha una fase regressiva e reazionaria oggettivamente, anche se la reazione (come sempre avviene) non confessi se stessa e cerchi di sembrare essa portatrice di una nuova cultura.
Luigi Einaudi, nella «Riforma Sociale» del maggio-giugno 1931, recensisce un volume francese Les sociétés de la nation. Étude sur les éléments constitutifs de la nation française, di Etienne Martin – Saint-Léon (vol. di pp. 415, Ed. Spes, 17, rue Soufflot, Parigi 1930, frs. 45) dove una parte di queste organizzazioni sono studiate, ma solo quelle che esistono formalmente (Per es., i lettori di un giornale formano o no una organizzazione?, ecc.). In ogni modo, se l’argomento fosse trattato, vedere il libro e anche la recensione dell’Einaudi.