Il Rinascimento (Fase economica-corporativa della storia italiana). Origini della letteratura e della poesia volgare

Quaderno 6 (VIII)
§ (116)

Vedere gli studi di Ezio Levi su Uguccione da Lodi e i primordi della poesia italiana e altri studi posteriori (1921) su gli antichi poeti lombardi, con l’edizione delle rime, commento e piccole biografie. Il Levi sostiene che si tratta di un «fenomeno letterario», «accompagnato da un movimento di pensiero» e rappresentante «il primo affermarsi della nuova coscienza italiana, in contrapposizione alla età medioevale, pigra e sonnolenta». (cfr S. Battaglia, Gli studi sul nostro duecento letterario, nel «Leonardo» del febbraio 1927). La tesi del Levi è interessante e deve essere approfondita. Naturalmente come tesi di storia della cultura e non di storia dell’arte. Il Battaglia scrive che «il Levi scambia questa modesta produzione rimata, che serba i caratteri e gli atteggiamenti di evidente natura popolare, per un fenomeno letterario» ed è possibile che il Levi, come spesso avviene in tali casi, esageri l’importanza artistica di questi scrittori; ma che significa ciò? E che significa la «natura popolare» contrapposta alla «letteraria»? Quando una nuova civiltà sorge, non è naturale che essa assuma forme «popolari» e primitive, che siano uomini «modesti» ad esserne i portatori? E ciò non è tanto più naturale in tempi quando la cultura e la letteratura erano monopolio di caste chiuse? Ma poi, al tempo di Uguccione da Lodi, ecc., anche nel ceto colto, esistevano grandi artisti e letterati? Il problema posto dal Levi è interessante perché le sue ricerche tendono a dimostrare che i primi elementi del Rinascimento non furono di origine aulica o scolastica, ma popolare, e furono espressione di un movimento generale culturale religioso (patarino) di ribellione agli istituti medioevali, chiesa e impero. La statura poetica di questi scrittori lombardi non sarà stata molto alta, la loro importanza storico-culturale non è perciò diminuita.

Altro pregiudizio sia del Battaglia che del Levi è che nel Duecento debba cercarsi e trovarsi l’origine di una «nuova civiltà italiana»; una ricerca di tal genere è puramente retorica e segue interessi pratici moderni. La nuova civiltà non è «nazionale», ma di classe e assumerà forma «comunale» e locale non unitaria, non solo «politicamente», ma neanche «culturalmente». Nasce «dialettale» pertanto e dovrà aspettare la maggior fioritura del 300 [toscano] per unificarsi, fino a un certo punto, linguisticamente. L’unità culturale non era un dato esistente precedentemente, tutt’altro; esisteva una «universalità europeo-cattolica» culturale e la nuova civiltà reagisce a questo universalismo, di cui l’Italia era la base, con i dialetti locali e col portare in primo piano gli interessi pratici dei gruppi borghesi municipali, Ci troviamo quindi in un periodo di disfacimento e disgregazione del mondo culturale esistente, in quanto le forze nuove non si inseriscono in questo mondo, ma vi reagiscono contro sia pure inconsapevolmente e rappresentano elementi embrionali di una nuova cultura, Lo studio delle eresie medioevali diventa necessario (Tocco, Volpe, ecc.). Lo studio del Battaglia, Gli studi sul nostro duecento letterario, «Leonardo», gennaio-febbraio-marzo 1927, è utile per i richiami bibliografici, ecc.

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