Nazionalismo culturale cattolico

Quaderno 5 (IX)
§ (120)

È la tendenza che più meraviglia nel leggere, per esempio, la «Civiltà Cattolica»: poiché, se essa divenisse realmente una [regola di] condotta, il cattolicesimo stesso diverrebbe impossibile. L’incitamento ai filosofi italiani ad abbracciare il tomismo, perché S. Tommaso è nato in Italia e non perché in esso può trovarsi una migliore via per trovare la verità, come potrebbe servire ai francesi o ai tedeschi? E non può diventare invece, per logica conseguenza, un incitamento a ogni nazione di cercare nella [sua] propria tradizione un archetipo intellettuale, un «maestro» di filosofia religiosa nazionale, cioè un incitamento a disgregare il Cattolicismo in tante chiese nazionali? Posto il principio, perché poi fissare S. Tommaso come espressione nazionale e non il Gioberti e il Socini ecc.?

Che i Cattolici e anzi i gesuiti della «Civiltà Cattolica» siano dovuti e devano ricorrere a una tale propaganda è un segno dei tempi. C’è stato un tempo in cui Carlo Pisacane era predicato come l’elemento nazionale da contrapporre sugli altari ai brumosi filosofi tedeschi; ancor più di Giuseppe Mazzini. Nella filosofia attualistica si rivendica il Gioberti come lo Hegel italiano, o quasi. Il cattolicismo religioso incita (o ha dato l’esempio?) al cattolicismo filosofico e a quello politico sociale.

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